Caravaggio, Dio e il diavolo

Cena di Emmaus

Michelangelo Merisi da Caravaggio – 1606 – Cena di Emmaus

Quando in giro per l’Italia tengo le mie conferenze sulla Storia Evolutiva dell’Arte in rapporto alla coscienza dell’Uomo, la “Cena di Emmaus” di Caravaggio ha sempre un ruolo fondamentale nell’arco delle immagini che proiettiamo e che condivido con il pubblico.
La prima cosa che succede al solo vederlo (e questo accade in genere con quasi tutte le opere del Caravaggio, una sorta di magia) è lo scatenarsi dell’emozione nello spettatore.

Il linguaggio visivo di Caravaggio è il primo che può essere ritenuto veramente moderno, adatto alle nostre coscienze contemporanee: teatrale, se non addirittura cinematografico. Ma non solo: la lancinante entrata in scena della luce divina nel mondo delle tenebre demoniaco è qualcosa che squarcia l’anima ancora oggi, perchè in questo contrasto tra Lux e Tenebrae viviamo e ci riconosciamo appieno.
Caravaggio non fu un angelo, ma neanche un diavolo, anche se la violenza, l’imprevedibilità, l’angoscia e le sofferenze fatte e procurate nella sua vita lo farebbero apparentemente avvicinare al principe delle tenebre.
Eppure quasi nessuno come lui riuscì a rappresentare la sacralità del divino nelle nostre vite.

La ricerca del sacro, in Caravaggio, è evidente, ma non una ricerca del sacro secondo i dettami antichi: fu la prima ricerca del divino in chiave moderna, da uomo contemporaneo (ed infatti con l’occhio contemporaneo, uno sguardo quasi iperrealista, capace di rappresentare il mondo per cio’ che è, spietatamente e platealmente).

Un diavolo d’uomo che cercava il divino. Un dannato che cercava la luce.
Un uomo che avrebbe voluto e che cercava, in ogni sua opera, un dialogo con il Cristo.

Qui si autorappresenta nell’atto della domanda fatidica a Dio: lo fa facendoci immedesimare il lui, che è di spalle, nostro portavoce alla ricerca, come ogni uomo moderno, della comprensione del divino.

Noi siamo lui. Nè diavoli nè angeli.
Semplicemente Uomini.